ZAA Zamboni Associati Architettura
San Pietro, Reggio Emilia
foto Alessandra Chemollo, Kai-Uwe Schulte Bunert
Chiostri di San Pietro
L’intervento ha riguardato il recupero dei Chiostri benedettini di San Pietro, il più straordinario complesso monumentale della città di Reggio Emilia. Come caserma militare poi dismessa, questo luogo ha rappresentato a lungo un’area inaccessibile nel cuore della città storica. Con l’obiettivo di rafforzarne la vocazione strategica, il recupero del complesso è stato finanziato con fondi regionali per restituirlo a pieno come polo innovativo-culturale di rilievo internazionale. Il finanziamento deriva dal programma Por-Fesr Emilia-Romagna 2014-2020 Asse 6 “Città attrattive e partecipate” con l’obiettivo di innescare processi di sviluppo delle vocazioni territoriali, creando nuove opportunità di occupazione e inclusione a partire dal recupero e valorizzazione del patrimonio culturale. Il progetto ha coinvolto in un’unica operazione tre interventi strettamente correlati: il completamento del restauro del corpo monumentale, in parte attribuito a Giulio Romano, per restituirlo alla pubblica fruizione; la rigenerazione urbana tramite la demolizione dei retrostanti corpi minori e l’addizione sullo stesso sedime del nuovo fabbricato dei Laboratori Aperti Urbani, edificio destinato all’innovazione in stretta relazione gestionale con il complesso monumentale e in continuità funzionale con l’adiacente fabbricato dell’antica Scuderia, anch’essa restaurata come parte integrante dei Laboratori, ricercando un dialogo materico tra i due fabbricati; infine la riqualificazione degli spazi cortilivi posti tra i fabbricati, riscoprendone il ruolo di attraversamento urbano e spazi di relazione restituiti alla città.
Il nuovo edificio dei Laboratori Aperti Urbani definisce il completamento e la chiusura a nord del complesso monumentale, rappresentando il limite verso la città novecentesca alle sue spalle. I Laboratori rappresentano la macchina gestionale del complesso, aspetto enfatizzato dall’emergere nella copertura inclinata dei volumi tecnici a servizio anche del corpo monumentale, evitando di portarvi macchinari incompatibili con l’antico monastero.
Concepito come sequenza di spazi seriali e modulari improntati alla massima flessibilità, l’edificio si definisce anche in relazione agli spazi esterni favorendo la ventilazione naturale passante. La facciata sud consente il massimo apporto dell’illuminazione naturale controllata attraverso un sistema in policarbonato e listelli di legno da cui emergono le testate dei setti in calcestruzzo per denunciare la scansione degli spazi interni. La vetrata che corre per tutta la lunghezza consente la vista ininterrotta del muro perimetrale dell’antico monastero, escludendo la vista superiore, a sottolineare un ambito protetto nel cuore della città. Il Laboratorio è pensato per ospitare attività di innovazione con una duplice funzione: quella privata e laboratoriale, quella pubblica favorendo processi di interazione e contaminazione. L’aspetto seriale, la nuda struttura, il ritmo della facciata nella ripetizione dei suoi elementi concorrono a richiamare un dialogo a distanza con l’ordine monumentale e la parte basamentale non finita del corpo antico.
La valorizzazione del non finito, interpretando ciò che Giulio Romano non ha potuto portare a termine nel Chiostro Grande – cuore del complesso – è quindi diventato il criterio metodologico e il filtro concettuale di ogni scelta riguardante l’intero complesso. È un principio che amplifica il significato del contesto presupponendo come possibile punto di arrivo una compiutezza di ordine superiore.
Alla ricerca di un rapporto equilibrato e innovativo tra antico e contemporaneo, tra il riscoprire spazi e insediarvi nuovi usi compatibili, nell’articolazione dei tre interventi il progetto combina i molteplici fattori della rigenerazione riprendendo, nella scelta di nuove funzioni, la matrice benedettina in grado di coniugare la conservazione con l’innovazione.